
In questo articolo, a partire dal racconto di una giornata sugli sci con uno dei miei figli, traggo alcune conclusioni su quanto sia facile e inevitabile sbagliare, come genitori, come figli, come persone e che il punto essenziale, ciò che dà l’opportunità a una relazione di rimanere aperta e viva, non è evitare lo sbaglio, ma l’ascolto di sé e dell’altro.
Sabato scorso sono andata a sciare con mio figlio.
La giornata è partita subito in maniera molto impegnativa: sveglia presto, arriva su presto ma non abbastanza, così da trovare tre parcheggi su quattro già pieni e da lì dover camminare scarponi ai piedi, due paia di sci e un bob tra le mani per raggiungere la lunghissima coda per l’affollatissima navetta.
Abbiamo iniziato a sciare dopo un’ora e mezza dall’arrivo. Lui mi ha seguito sereno e sicuro fino a quando io non ho pensato che poteva essere il caso di spingersi un po’ più su per sciare di più e sperare, intimamente, di iniziare a divertirmi.
Risultato: si è ritrovato su una discesa troppo impegnativa, si è spaventato, è caduto, sono caduta per fermarlo e si è messo a piangere.
Poteva essere il panico. Lo abbiamo sfiorato.
In quel momento mi sono passati davanti flashback della mia infanzia in cui mi ero ritrovata al suo posto, in quella stessa identica situazione e ho immaginato cosa stesse provando: sensazione di essere tradito, di non farcela, di non poter tornare indietro, di non essere stato visto da chi avrebbe dovuto farlo.
Forse questo moto di empatia e di comprensione per la bambina che ero, mi ha permesso di protendere per la calma: l’ho aiutato a togliere gli sci e l’ho rassicurato rispetto a quello che stava succedendo che, stando alle sue parole, era una tragedia che invece io, adulta in grado di sciare su quella pendenza, non avvertivo minimamente come tale. Poi l’ho spronato a venire giù senza sci e a rimetterseli nei tratti più dolci. Ce l’ha fatta, abbiamo un po’ discusso ma dopo poco ci siamo chiesti scusa a vicenda: io per aver fatto la scelta sbagliata, lui per i toni.
Da questa vicenda ho capito alcune cose:
Come genitore è un attimo che si chieda a un figlio di andare più in alto di quanto non sia in grado di fare (a volte è l’occasione per superarsi, a volte no)
Per lo più lo si fa in buona fede
Come genitore è anche un attimo che non si chieda a un figlio di andare più in alto per paura che non ce la faccia
Forse ciò che fa di un genitore un buon genitore non è fare la scelta giusta, azzeccarci, ma cercare una connessione con i propri figli dentro l’imprevedibilità e l’imperfezione delle cose.
Sulla carta è stata una giornata più no che sì, ma io sono venuta via abbastanza orgogliosa di aver dimostrato a me stessa di poter essere una mamma sempre meno perfetta e sempre più capace di perdonarsi e di perdonare.
Lascia un commento se questa mia esperienza personale ti ha trasmesso qualcosa o se è stata l’occasione per riflettere su un tuo vissuto
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